Memento è un film che racconta la storia di Leonard Shelby, il quale a causa di un incidente ha perso la facoltà di memoria breve. Ricorda tutto quello che è accaduto prima dell’incidente, ma dimentica tutto quello che gli accade nel presente. Il suo scopo è quello di rintracciare l’assassino della moglie, ma è oggettivamente condizionato e limitato dalla sua malattia. Così per cercare di andare avanti e dare un senso alle sue azioni, annota su carta e si tatua sulla pelle tutto ciò che gli capita come indirizzi, nomi, targhe di automobili, riflessioni e considerazioni. E fotografa con una polaroid tutti i pezzi della sua vita.
Al di là degli indiscussi meriti dell’opera cinematografica vorrei fare qualche breve considerazione sul tema della fotografia che emerge dal film. La prima, abbastanza ovvia, è che la fotografia costituisce la memoria storica umana, perché quello che è fotografato oltre che essere stato è anche esistito e quindi il protagonista vi trova traccia della propria esistenza.
La seconda considerazione parte dall’asserzione di Roland Barthes, ovvero che la fotografia è un messaggio senza codice. Il codice è un insieme segnico sempre arbitrario, cioè stabilito secondo un contratto collettivo imprescindibile dalla cultura e dalle esperienze umane.
Il protagonista del film ha bisogno non solo di fotografare, ma inevitabilmente anche di scrivere sulle fotografie, annotando per esempio chi è quella persona e le considerazioni intorno alla medesima. Cosa significherebbe l’immagine di una insegna, senza una spiegazione codificata per un individuo che non ricorda dove, quando e perché l’ha ripresa?
Senza una capacità di analisi consapevole una fotografia non comunica e un individuo che non conosce la storia e il mondo in cui vive non può interpretarla.
ciao, mic
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